La lettera di 96 donne turche dopo il Golpe del 2016

La lettera di 96 donne turche dopo il Golpe del 2016

Articolo uscito su La 27 Ora, Corriere della Sera, il 26 luglio 2016

Io credo nella libertà delle fonti e nella libertà di espressione. Credo che il giornalismo debba dare voce a mille voci. Credo che ascoltare sia un bene, non una colpa. Credo che per essere giusta, l’informazione debba essere completa. Un giornalista non scrive quello che vuole, un giornalista descrive quello che vede. E quindi, il mio articolo, stavolta, non è un articolo: è una lettera. La lettera che queste 96 ragazze mi hanno inviato e che io ho scelto di condividere senza toccare una virgola. Questa è la voce di donne turche, italiane e italo turche: madri, figlie, mogli, sorelle. Molti, in questi giorni, si chiedevano: «Ma dove sono le donne?». Ecco: loro sono qui e meritano di essere ascoltate.

 

Due ragazze a Istanbul, una con il velo e una senza

Ecco la loro lettera:

Scrivo a nome di un nutrito gruppo di donne italiane, italo- turche e turche residenti in Turchia. Nell’ ultima settimana, in seguito agli avvenimenti politici del 15 Luglio, la Turchia sta subendo un attacco mediatico su tutti i fronti, ben visibile a chiunque legga i giornali o ascolti un notiziario italiano in questi giorni. Tra i tanti argomenti su cui si sta facendo disinformazione, c’è anche la condizione femminile in questo Paese, ed è proprio a questo proposito che vi scrivo. Rifiutiamo categoricamente l’immagine generica della donna sottomessa, perseguitata e obbligata a indossare veli che si sta cercando di far passare in questi giorni sui quotidiani italiani.
La storia di questo Paese è costellata di momenti drammatici dai quali è sempre riuscito a riemergere, quello che però con insistenza viene ricordato (e che è forse è l’unica cosa – permettetemi di dirlo – che si conosce in Occidente sulla storia turca recente), è la ventata di «modernità» portata dal fondatore della Turchia, Mustafa Kemal Atatürk. Questo grande e lungimirante uomo, tra i mille cambiamenti a favore di una Turchia più occidentalizzata, proibì l’uso del chador e del fez (il cosiddetto «kiyafet devrimi»- rivoluzione dell’abbigliamento). E fece sì che le donne avessero il diritto al voto già nel 1936. Successivamente, nel 1987, però, persino l’uso del semplice velo (il türban che tante donne turche portano, e che fa parte della tradizione) è stato vietato in tutti i posti statali. (A dirla tutta, in quegli anni fu vietato anche agli uomini di portare i baffi negli impieghi statali).
Si trattò di un cambiamento che cozzava con il sentire popolare, di una decisione che non rispettava propriamente i principi democratici del kemalismo. Questo viene spesso dimenticato/ignorato dai media, quando scrivono di Atatürk e della laicità in Turchia, confondendola con il laicismo. Queste leggi hanno impedito a migliaia di donne turche di partecipare alla vita del Paese, persino di studiare o di fare i lavori più comuni; donne che si sono trovate a scegliere se abbandonare o meno un simbolo che avevano visto indossare alle loro mamme e nonne, per poter fare le impiegate statali.
È stata una pagina importante della storia della donna turca, che avrà fine solo nel 2013, quando il governo attuale toglie il divieto del velo nei luoghi statali. Era un atto dovuto al popolo, in un Paese in cui le donne sono presenti in tutti i settori lavorativi: dall’istruzione all’agricoltura, dall’industria all’esercito, fino al Parlamento (Per fare un nome, vi vorrei ricordare di Tansu Çiller, donna e primo ministro della Repubblica di Turchia dal 1993 al 1996).

Ovviamente questo non venga interpretato come «questo è il paradiso delle donne», poiché purtroppo oggi non lo è nessun posto al mondo. Ma l’immagine della donna sottomessa e perseguitata fatta passare come assoluta in questi giorni non corrisponde esattamente alla realtà della Turchia contemporanea. Soprattutto, non risulta nell’agenda di governo alcun piano di sottomissione e degradazione della donna o alcun progetto di promozione della religione islamica, perché la Turchia è già un Paese musulmano. Lo è sempre stato. È un Paese il cui 94% della popolazione è di religione islamica. Esiste sì in Turchia – fin dai primi anni della fondazione della Repubblica – una minoranza che inneggia al radicalismo islamico, tuttavia non si è mai affermata quale forza parlamentare in nessuna tornata elettorale, attestandosi sempre al 6-7%.

Si potrebbe dire ancora tanto altro in merito, ma lo scopo di questa lettera è far arrivare un messaggio e delle informazioni che siano corrette, almeno da questo punto di vista: qui in Turchia conviviamo donne col velo e senza, dagli abiti succinti e dall’abbigliamento morigerato. La nostra vita quotidiana, anche se scossa, non é cambiata in seguito agli eventi del 15 luglio. Quello che si faceva prima si fa ora: uscire, andare al lavoro, mettere gli short, fare la spesa, invitare gli amici, andare in piscina, in palestra, al corso di zumba, di découpage, in bicicletta, sui pattini, fare footing, tennis, danza latina…e perfino selfie! Senza che tutto ciò interferisca con la nostra libertà e i nostri diritti in quanto donne.  Ovviamente questo si evince di più in città grandi come Istanbul, dove è possibile vedere molte donne «coperte» (ma non necessariamente sottomesse) e tante altre «scoperte».

In seguito ai fatti del 15 luglio, le autorità stanno battendo a tappeto ogni istituzione alla ricerca dei colpevoli, interessando ovviamente tutti i campi fondamentali dello stato: magistrature, istruzione, milizia… ma questo non vuol dire che siamo in pericolo, non significa che solo per il motivo di essere insegnante o avvocato qualcuno ci venga a mettere le manette! È pericolossissimo generalizzare su questo. (Ricordiamo i maxi processi in Italia, manipulite, o il polverone dalla p2, o gladio.. .in proporzione alla gravità siamo sullo stesso piano)
In sostanza vogliamo far sentire anche la nostra verità, quella di donne che continuano la loro vita quotidiana e alle quali non è stato tolto nulla né prima né dopo il tentato golpe. Desideriamo che la nostra voce si senta e che attraverso i media arrivi fino alle nostre città, alle nostre famiglie che imbibite del terrorismo mediatico sono spaventate fino a non credere alle nostre parole e a farci domande quali «… ma potete circolare?» oppure «avete da mangiare?» e ancora «… e ora che fai? Torni?».

Deniz Görgülü (insegnante di lingua e cultura italiana), Ester Cristaldi (dottoranda, univ. Marmara), Lucrezia Mitaritonna (Lettrice univ. Istanbul), Nicoletta Vettorato (P.R.), Elena Ventura Aleyna, Francesca Balci (casalinga), Elisa Sassera (cofounder e atelierista di Casa Bimbi Trilingual Education Center in Cihangir),  Elvıra Di Cara (insegnante di lingua inglese), AnnaLia Proietti (docente), Mara Calcavante,  Margherita Mascolo (insegnante), Margherita Iuorio (logopedista), Denise Nanni, Livia Frugoni (insegnante liceo italiano Ist.), Lucia Karaoğlu De Feo, Chiara De Carlo, Rossella Zucaro (insegnante italiano inglese), Ilaria Porru, Alda Perini Kıran, Giordana Marzullo (insegnante liceo italiano Ist), Maria Teresa Monti (pensionata), Sabrina Messina Melda, Polat Radgae Dachan (educatrice professionale e mamma), Luana Simone ,Tina Lino Mina Mingarelli, Mari Grazia Leggeri, Giusy Nicotra Michela, Ricotti Ellen, Patat Michela, Anania Pınar Şahinkaya, Chiara Bacchi, Elisa Sassera, Martina Nucci Er, Damiana Corda, Laura Falconi, Nermin Ari Anarlar, Roberta Luongo, Luisa Alteiro, Maddalena Colombini Castellani Tarabini, Antonella Azzarone, Ülkem Özdenak, Nevhiz Hande İnal, Isabella Giovannoli, Alessia Debora Ciampi, Vania Lettieri ,Tiziana Inesi, Özlem Karoğlu, Semiha Tuğcu (economista) , Lisa Ruzza, Luisa Ercolani , Germana Barbato, Meryem Natale, Burcu Gözmen (architetto), Kader Celik, Nathalıe Licciardello, Valeria Travaglini Carloni, Giulia Oliviero (meeting planner), Loredana Muratori, Ayşin Kabalak (insegnante di danza classica univ.Marmara), Enza Di Pinto (architetto), Melis Karadurmuş, Ayşe Karataş, Ebru Ersoy, Cemile Rosini, Carla Piedini, Alessia Russo, Stefania Scorza, Giorgia Simeoni, Carla Colombo, Tamer Erhali, Caterina Galgano, Carmen Elena Zapotoschi, Laura Carboni, Federica D’amico, Anna Bottecchia, Fabiana Bardi, Eleonora Ventura, Alessia Crielesi, Glenda Becarelli, Anita Moreno, Roberta Lustro, Marina Amazon,Barbara Oggero, Mariaelena Crielesi, Claudia Gentili, Lauretta Berenghi, Luana Crielesi, Roberta Rocchi, Maria Grazia Colagrossi, Paola Lascala, Alessia Buluggiu, Ambra Pigozzo (insegnante di italiano quasi neolaureata), Valeria Travaglini Carloni (ingegnere)
La lettera è stata scritta da Deniz, la portavoce del gruppo Facebook «Italiane in Turchia», ed è stata firmata da 96 donne.

Sara Mauri

 

 

About the author

Giornalista, ho scritto su Il Giornale (di carta), La Nuvola del Lavoro e La 27 Ora (Corriere della Sera), La Stampa, Startupitalia, Nonsoloambiente, Barche Magazine, Provincia di Lecco, nella mia rubrica La Bréva del Giornale di Lecco. Ora scrivo su Linkiesta.

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